
- Come è nata l’idea di scrivere una raccolta di racconti incentrata sul rapporto con il padre? Quali emozioni e esperienze personali ha voluto esplorare attraverso le storie di Quirico e Angelino?
Per rispondere alla prima domanda ho dovuto fare un excursus su motivazioni più vecchie di quelle presentate nel libro e ho trovato che ho da sempre avuto un rapporto quantomeno problematico con i miei due padri: quello naturale e legale e quello divino. Ho anche messo a fuoco che l’ultima delle citazioni introduttive “Così l’essere umano ammazza il padre e la madre non se li elimina fisicamente ma quando sa distaccarsene. Discorso contro la morte – Sermone pronunciato da John Donne la notte di Natale del 1630, nella chiesa di Saint Paul, Londra” rimandava a una decisione, del tutto dimenticata, che avevo preso intorno ai miei quindici anni e, fedele al messaggio evangelico, l’avevo impostata nella prospettiva che mio padre era il mio prossimo. Tuttavia, il contesto sociale e culturale dell’epoca non mi aveva consentito di raggiungere la totale libertà interiore.
Rispondere alla seconda domanda è più semplice. Mi era stato chiesto di “esplorare i bassi fondali” dell’universo maschile e, subito, mi sono venute in mente due persone che conosco bene. Ho pensato di farne un parallelo e ho inventato un incontro casuale. Una di esse è presente in un mio romanzo, sebbene inserita in una storia quasi del tutto inventata, in quanto veritiera solo nelle convinzioni filosofiche del personaggio e nei suoi brontolii sulla moglie che “non lo segue”. Anche per l’altra persona ho fatto riferimento a un personaggio che compare quasi marginalmente nello stesso romanzo perché, casualmente, avrei potuto accostare i due personaggi, facendoli incontrare in un ospedale. Molti degli episodi che racconto e che appaiono frutto di immaginazione sono verissimi, ma non lo è l’ambientazione della loro vita reale. Mi chiede quali emozioni ed esperienze personali ho voluto esplorare e le rispondo che persone con caratteristiche psicologiche di quel tipo rendono molto difficile un rapporto autenticamente dialogante, almeno a me che del dialogo vivo. In fondo direi che hanno causato una certa frustrazione.
- Il personaggio di Ruggero Roggio, inserito in un contesto onirico e fantastico, come si colloca nel panorama della raccolta? Quale messaggio voleva trasmettere attraverso la sua storia?
Anche in questo caso si tratta di una persona reale, incontrata quasi casualmente e, aggiungerei, per fortuna, in quanto era uno scrittore eccellente che… non si lanciava come, a mio parere, avrebbe potuto e dovuto. Lo ha fatto di recente, con un romanzo straordinario che sta avendo un meraviglioso successo e so che sta continuando a scrivere.
Si colloca, nella trilogia dei rapporti con il padre, come una persona – ma sono io che ho deciso di interpretarlo così- che non ha avuto problemi con il padre e che, tuttavia, sa di non aver raggiunto una totale libertà interiore, quasi, mi viene in mente adesso, avesse problemi di autostima, per raggiungere la quale avrebbe dovuto affrontare un percorso lontano da ogni riflessione e razionalità, avrebbe dovuto affidarsi al suo istinto. E alla sua ottica emotiva. Forse questo è il messaggio: non sempre i ragionamenti pagano, in quanto rischiano di avvoltolarsi su sé stessi molto più pericolosamente di quanto sembra fare l’istinto, questo rinnegato sconosciuto.
Non gliel’ho chiesto, ma chi sa se, sbandierando la mia ammirazione, ho influito sulla sua decisione di darsi alla scrittura con continuità spirituale e professionale!
- Come ha affrontato la sfida di narrare un tema universale come il rapporto padre-figlio in una chiave originale e fresca?
Immagino che questa domanda faccia riferimento al racconto “L’improbabile ragazzino”. Sono veramente molto contenta della definizione “fresca” e penso che derivi dal mio impegno costante a far comprendere a ragazzini di scuola media inferiore anche le cose che sono complesse. Colpa della mia laurea in filosofia? No, merito del volere solo e soltanto aprire le menti. Se si è padroni di un argomento lo si può far capire a tutti. Da qui l’originalità della narrazione: ho preferito dare informazioni per immagini, non discettare su altre cosmogonie di quel tempo e sulla contaminazione morale e ideologica con altre religioni. Il punto è che io non ho mai desiderato convertire qualcuno in quanto ho sempre odiato il proselitismo religioso e di qualunque altro tipo e, d’altra parte, l’immagine mi è congeniale, visto che sono una poetessa.
La radice del tema dipende da altro: i miei problemi con il Padre trinitario, i conseguenti studi teologici, mai ultimati, la mia insopprimibile tendenza a cercare la verità nella vita e non nei massimi sistemi, la lettura reiterata di un libro: “Il vangelo ebraico” di Daniel Boyarin, eminente teologo ebreo, che, comunque, non parla affatto del problema che ho affrontato io.
Questo è il primo racconto che scrissi col preciso intento di scriverne uno di una certa consistenza, ma è rimasto nel cassetto per un bel po’ di anni.
- Nel racconto “Verso Parigi”, come ha combinato la ricerca genealogica con la narrazione? Qual è stato il suo obiettivo nel raccontare la storia di un uomo nato nel 1754?
Qui mi corre l’obbligo di un ringraziamento alla mia amica Maria Emanuela, purtroppo solo virtuale, che frequento dal mio esordio su FB e con la quale si è instaurata una forte amicizia, che in breve tempo è diventata confidenza: affinità elettive. In pratica, a un cero punto mi ha parlato della sua passione per la ricerca genealogica sulla propria famiglia e poi mi ha scritto dell’antenato più lontano nel tempo, con tanto di documentazione su nascite, morti e spostamenti, e anche su mestieri e professioni con le relative leggi dell’epoca.
La molla che scattò immediatamente nella mia testa fu una domanda: perché quest’ uomo ha voluto abbandonare la terra dove viveva e in cui lavorava con grande soddisfazione anche economica? Così ho studiato le carte geografiche dell’epoca, ho riesaminato la situazione politica ed economica del tempo, anche nei luoghi in cui si era via via spostato, ho riflettuto sul tipo di famiglia con cui era andato a imparentarsi e ne ho dedotto che si sentiva socialmente inferiore e voleva ricominciare dove le sue radici non fossero note.
Grandissima soddisfazione ho avuta quando, a racconto finito e abbandonato, Maria Emanuela mi scrisse che nel certificato di matrimonio la firma di Jean si presentava molto stentata, come quella di un analfabeta, mentre quella della moglie era chiara e dal tratto scorrevole. Ci avevo azzeccato in pieno.
Cercherò di continuare la storia degli antenati della mia amica e, per ora, sto facendo ricerche sul periodo napoleonico a Parigi e anche in Italia.
- “Higlander” offre una prospettiva unica, alternando i punti di vista di un gatto e della sua padrona. Quali sono stati i principali ostacoli e soddisfazioni nello scrivere questo racconto?
Nessun ostacolo: la storia è rigorosamente vera. Ospite in quella famiglia per il periodo estivo, mi fece sussultare quel gattino che per un attimo mi parve avesse tre orecchie (forse potevo raccontare anche questo). Alla mia richiesta di spiegazioni, mi fu raccontata la sua storia da quelle splendide persone. Ma poi ho voluto entrare nel vissuto del gatto e ci ho provato. Tutto qui.
So che qualcuno si è commosso e, almeno su questo racconto, ho avuto un riscontro diretto.
- Nel racconto “Crisi d’astinenza, delirio d’impotenza”, ha affrontato il tema dell’assuefazione al caffè con ironia e profondità. Può raccontarci di più sulla genesi di questa storia e sul messaggio che voleva trasmettere?
Questa domanda mi mette in imbarazzo, in quanto l’input è piuttosto banale: un concorso a tema e… mi avevano destato interesse i premi. Ma del caffè non sapevo niente. Non so perché mi intestardii a scrivere qualcosa, forse perché era l’occasione buona per imparare qualcosa sul caffè. Mi informai sulle varie origini di questa pianta, ma niente di romanzabile sapevo su quei luoghi. Le mie esperienze personali si limitavano al caffè in casa, a un caffè alla turca che mi era piaciuto moltissimo e all’acqua colorata bevuta in Francia. A quel punto credo sia venuta fuori la mia tendenza a psicologizzare. Casualmente mi capitò una foto di una coppia non giovanissima che, in Francia, faceva mostra di un sovrabbondante piattone di frutti di mare e pensai: “Come faranno senza caffè?” Senza programmarlo ho via via immaginato il viaggio di una coppia in piena crisi della mezza età.
Il messaggio è una domanda: la crisi di mezza età può portare a scombussolamenti deliranti? Ma, essendo aliena dallo sputare sentenze, con quel gonnellino nella tasca della giacca lascio al lettore il contro compito di non impicciarsi troppo dei fatti altrui. Ma c’è anche un altro messaggio, più concreto e più solido: l’amore, materno o coniugale che sia, riempie l’anima.
- “Risuonare in Amnios e divenire Logos” vede un incontro surreale tra Dante e una poetessa emergente. Qual è stata la sua ispirazione per questo racconto e quale connessione vede tra Dante e la poetessa?
L’ispirazione penso che sia veramente molto semplice: la giovane poetessa, quando legge quei poeti, ma anche altri, è in loro compagnia e li vive come se anche loro godessero della sua compagnia, cosa che accade a me. Per lei è stato naturale immaginarseli nella sua casa, come l’aspettarli sulla soglia e andar loro incontro. Era semplicemente giusto che le lasciassero dei doni.
La connessione fra Dante e la poetessa è la ricerca della parola, che in Dante è riuscita già eterna e che la poetessa desidera con tutta l’anima di trovare, senza sperarci troppo. In fondo, entrambi tendono all’Amore: quello di Dio.
- La varietà tematica della raccolta è notevole. Come ha deciso quali storie includere e come ha trovato un equilibrio tra i diversi toni e temi?
La realtà delle cose, riguardo alla scelta dei testi, è molto poco letteraria né, per così dire, colta. Il fatto è che ero dentro un lungo periodo di malattie e di depressione, scatenatosi dopo la morte di mio marito, avvenuta il 17 ottobre 2019. Riuscivo tuttavia a stare al pc sia pur senza combinare niente, tranne qualche sporadica poesia, relativa agli stati d’animo inerenti a quel fatto, scritta direttamente su fb e che poi ho dovuto aspettare un anno per recuperare. Tuttavia una mia silloge era già pronta, anche con una vostra recensione dovuta alla partecipazione a un vostro concorso, e la pubblicai facendomi aiutare, in quanto non ero in condizioni di fare neanche quello.
Stessa spinta è stata quella per la pubblicazione di questa raccolta: comunicare a qualcuno che esistevo. So che sembra strano, ma è stata una fatica immane la semplicissima cosa di mettere uno dietro l’altro i miei racconti non pubblicati: erano rimasti lì, non abbandonati, ma conservati con una sorta di inspiegabile gelosia. Poi inviai a un concorso il racconto “L’improbabile ragazzino” che vinse il premio della critica (i lettori ne troveranno la motivazione in una nota alla fine).
Fu allora che mi decisi a tentare la pubblicazione dei miei racconti, così come erano stati pensati al tempo in cui li avevo scritti. Li ho mandati a voi.
L’equilibrio tra i diversi toni e temi sta proprio nel loro squilibrio, nel senso che penso che la diversità eviterà la noia e favorirà approcci in modalità inaspettate ai fatti narrati.
- Qual è il racconto a cui è più legata e perché?
Molto difficile scegliere, in quanto ciascuno di essi mi ha impegnata in un interesse e in una prova diversa. Ma, tutto sommato, si tratta de “L’improbabile ragazzino”, al quale faccio porre una domanda spiazzante e paradossale. Nel racconto il ragazzino mette scientemente in difficoltà i dottori della legge per tre giorni di seguito, ma l’ultimo giorno fa una domanda che rimane senza risposta e senza riflessione esplicitata. Per me essa mette in evidenza i paradossi inerenti la santità, che è qualcosa di molto diverso dalle immagini di maniera con cui vengono spesso dipinti i santi: essa passa tra conflitti interiori radicali, che mettono in gioco il lato più debole della persona.
- Alla luce delle molteplici tematiche affrontate nella raccolta, quale messaggio globale spera che i lettori possano cogliere dopo aver letto “Omicidio per il Paradiso: e altri racconti”?
In fondo, le mie sono fiabe e, come tali, nella loro trasfigurazione della vita reale, ne rendono sopportabile la parte crudele, ma non esimono dal vederla.
Penso che i lettori possano essere spinti a riflettere che ogni fatto della vita, ogni comportamento osservato, rimanda a qualcosa che non appare e che spesso è una richiesta d’aiuto. Basti pensare ai protagonisti del primo racconto: sposati, amati eppure soli, perché incapaci di connettersi con i propri limiti. O alla ragazza che cerca l’amicizia dei grandi poeti che ama e che non sono più in vita. O al gattino allegro e sfortunato. O alle ambizioni, in fondo lecite, di Jan Beaudry e alla sua misera fine.
Spero che la narrazione fiabesca, realizzata anche attraverso la semplicità del linguaggio, renda comunque presente la complessità e, spesso, la crudeltà della vita reale e che, al contempo, spinga ad affrontarla anche con l’ironia, con il sogno e con un po’ di pazzia.
In fondo, il messaggio globale che vorrei arrivasse è quello semplicissimo di non avventarci sul nostro prossimo con giudizi trancianti, ma di accostarglisi con l’intento di capire. Se poi il mio modo è inusuale, esso deriva dal fatto che ho sempre odiato le prediche e quindi non ne faccio.
L’ Autrice
Teresa Anna Rita De Salvatore è nata a Lecce, risiede a Castelsardo (SS), è laureata in Filosofia, ha insegnato Materie Letterarie, ha ricoperto il ruolo di Dirigente Scolastico.
Scrive in poesia e in prosa dal 2009.
Dialogando su facebook – questa è storia che molti già conoscono – comincia a scrivere, riesumando una passione connaturata e trascurata.
Ringrazia gli amici di facebook rendendoli protagonisti attivi dei primi due libri pubblicati, attraverso i loro pensieri e le loro fotografie.
Ha pubblicato:
con lo pseudonimo di Terry Salentina.
“AMNIOS”, raccolta di testi poetici e di dialoghi (2012), con Photocity edizioni
“RITORNO”, silloge poetica (2013), con l’Editore Aletti;
col proprio nome seguito dall’acronimo TARDeS
“19 sordi”, romanzo dalla struttura a mosaico (2016), con “Self Publishing Vincente”;
“Nero Scabro Sbrecciato”, miscellanea di poesie, brevissimi racconti e aforismi (2017), con Youcanprint, che ha avuto una menzione al merito nel Premio Internazionale Maria Cumani Quasimodo.
“Minuetto”, silloge poetica (2021), con Youcanprint.
E’ presente, con singole poesie, con raccolte, con racconti, sia col proprio nome sia con lo pseudonimo, in Antologie della Casa Editrice Pagine; della ALETTI Editore; della Editrice Agemina; di Rupe Mutevole Edizioni, della Casa Editrice TraccePerLaMeta.
Ha ottenuto menzioni di merito per singole poesie, e menzioni d’onore di cui l’ultima nel IX PREMIO NAZIONALE DI POESIA “L’ARTE IN VERSI”Ideato, fondato e presieduto da Lorenzo Spurio.
Il Premio della critica, nella IV edizione del concorso “LA GIRANDOLA DELLE PAROLE”, per narrativa inedita.
In fieri, un romanzo storico.

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