INTERVISTA ALL’ AUTRICE: “Il gatto del Cheshire: Racconti” di Bianca Nora

  1. Qual è stato il momento o l’ispirazione che ha dato il via alla scrittura di “Il gatto del Cheshire: Racconti”?

Ogni racconto è nato in momenti diversi, a volte paralleli. Uno dei primi di questa serie è stato quello che descrive la famiglia “sottovuoto” durante il lockdown. Dello stesso periodo è la stesura dei racconti ambientati nel passato, storie che avevo dentro da tempo. La raccolta si è composta poco per volta, mettendo insieme i pezzi.

  1. Come sceglie i temi dei suoi racconti? C’è un filo conduttore che collega le storie di questa raccolta?

Può essere il lampo di un attimo, che accende una lampadina, oppure una lenta progressione necessaria per mettere a fuoco i contorni. I temi hanno varie genesi, ma ogni racconto è frutto di un’esigenza, di un bisogno impellente di uscire allo scoperto. Il filo conduttore credo sia nel raccontare le piccole cose di ogni giorno, che forse tanto piccole non sono se servono a dare un senso a ciò che viviamo. Le sento sospese tra quelle borghesi di Gozzano (buone ma di pessimo gusto) e il dio ribelle di Arundhati Roy che governa le “piccole cose”.

  1. Nel titolo si fa riferimento al celebre gatto di Lewis Carroll. Come influenza questo personaggio le storie e i personaggi della sua raccolta?

Il gatto è una presenza costante che mi ha sempre accompagnato, di conseguenza non poteva mancare nei miei racconti. Il gatto del Cheshire di Alice in Wonderland, sornione e affascinante, rappresenta una guida per affrontare le situazioni, giorno per giorno. Viene citato in un racconto che descrive un momento di grande difficoltà della protagonista e la figura felina, vera o fantastica che sia, è salvifica.

  1. Può condividere qualche dettaglio su come sviluppa i personaggi dei suoi racconti? C’è un processo particolare che segue per renderli così vividi e realistici?

Osservo molto chi mi sta vicino, le sfumature dei pensieri e gli stati d’animo, ma cerco di cogliere i dettagli anche nelle persone che vedo per un attimo, magari in un centro commerciale o a una festa di paese. Da un gesto, dal modo di vestire, da una frase sentita per caso immagino come possa essere la loro vita, ciò che è capitato anche solo un attimo prima o quello che potrebbe accadere dopo.

  1. I suoi racconti hanno un’intensa carica emotiva. C’è una storia personale dietro a queste emozioni che si riflette nelle pagine del suo libro?

Chi scrive mette sempre qualcosa di sé nei testi. Anche l’autore di opere di fantascienza o di fantasy non può che partire da un vissuto personale, sia pure minimo, per arrivare a costruire le storie più incredibili e lontane dalla realtà.

  1. La quotidianità ha un ruolo cruciale nei suoi racconti. Qual è la sfida più grande nel rendere il quotidiano interessante e degno di essere raccontato?

Il quotidiano è interessante come qualunque altra situazione se si riesce a vederlo con occhi attenti. Forse serve una lente di ingrandimento per cogliere quegli aspetti che, altrimenti, passerebbero inosservati.

  1. Nel suo libro, sembra che lei esplori il confine tra realtà e percezione. Come gestisce questa tensione nella scrittura?

L’esperienza della realtà passa attraverso la percezione, che è un filtro inevitabile e necessario. Non potrei mai descrivere una realtà pienamente oggettiva, perché la viviamo e la guardiamo sempre da un determinato punto di vista. La scrittura prova a stare in questo delicato e inquieto equilibrio.

  1. Qual è il messaggio o la riflessione principale che spera di trasmettere ai lettori con la sua raccolta di racconti?

Non ho la presunzione di trasmettere messaggi, ma piuttosto desidero condividere piccole riflessioni e magari smuovere qualche sentimento, ad esempio quello dell’empatia mettendosi nei panni di un ragazzo fuggito da guerre e miseria per arrivare nel nostro paese dove, purtroppo, non sempre si trova chi accoglie a braccia aperte.

  1. I suoi racconti spesso sfociano nel simbolico e nel metaforico. Come trova il giusto equilibrio tra narrazione diretta e simbolismo?

Che la realtà sia mistero e la natura una foresta di simboli l’ha detto qualcuno che davvero ha fatto del simbolismo una poetica. Ho spesso paragonato i racconti a scatti fotografici che catturano un momento particolare nel fluire della vita. Quel momento, quando viene “bloccato” e isolato dal resto, assume un valore in sé, raggiunge una maggiore intensità che a volte lo rende anche rappresentativo di “altro”. E’ come sottolineare qualcosa con l’evidenziatore.

  1. Che posto ha la ricerca di senso nella vita nei suoi racconti e quanto questa ricerca è influenzata dalla sua esperienza personale come autrice?

Nella scrittura mi piace il cambio inaspettato di prospettiva. In un racconto stupisce il lettore e mette in moto il meccanismo della rielaborazione della trama. Quando si collegano tutti i puntini, compare il disegno. E’ un esempio per dire che è più facile trovare il senso in una narrazione, molto meno lo è nella vita. Lo scopo finale potrebbe essere il medesimo, ma i risultati non sono uguali. Questo non significa che si debba rinunciare alla ricerca.

L’ AUTRICE

Bianca Nora vive a Bologna e si occupa di comunicazione. E’ riuscita a fare della sua passione, la scrittura, un mestiere mentre ha continuato a scrivere anche per il piacere di farlo: ha pubblicato diversi racconti, un saggio breve e un romanzo-verità.

La forma del racconto le è particolarmente congeniale perché permette di condensare in un testo breve un microcosmo. Il racconto è simile al frame di una pellicola capace di catturare un pezzetto della vita che scorre, proprio come accade quando si scatta una fotografia, altra grande passione di Bianca.

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